Una cifra fornita da Fedpol alla "NZZ am Sonntag" e confermata a
Keystone-ATS che si basa su stime delle autorità antimafia italiane
e di esperti di criminalità organizzata. I Cantoni più toccati dal
fenomeno sarebbero il Ticino, il Vallese, i Grigioni, ma anche
città e agglomerati di molte località svizzere.
Il rapporto 2019 di Fedpol parla di centinaia di affiliati
operativi nella Confederazione, perlopiù persone che non danno
nell’occhio e con un lavoro, residenti in Svizzera da decenni.
Tutte le maggiori organizzazioni sono presenti sul territorio:
dalla mafia siciliana alla Camorra napoletana, fino alla
’Ndrangheta calabrese, forse quella più importante, considerata dal
magistrato calabrese Nicola Gratteri la "Deus ex machina" del
traffico internazionale di cocaina con ricavi per decine e decine
di miliardi di euro l’anno.
Operazione antimafia
Ad aver suscitato clamore negli ultimi giorni e un ritorno del tema
"criminalità organizzata" all’attenzione dei media è stata la vasta
operazione antimafia organizzata dalle autorità svizzere assieme a
quelle italiane il 21 di luglio scorso. Obiettivo: un clan
’ndranghetistico, con arresti e perquisizioni eseguite nei cantoni
Ticino, Argovia, Soletta e Zugo. In Svizzera, una persona è stata
arrestata, mentre gli inquirenti hanno messo le mani su armi,
munizioni e denaro contante.
L’azione è il risultato di un procedimento penale condotto dal
Ministero pubblico della Confederazione, in particolare per
sospetto di sostegno o partecipazione a un’organizzazione
criminale, riciclaggio di denaro, ricettazione, messa in
circolazione di monete false, l’importazione, l’acquisizione e
deposito di monete false e sospetta violazione della legge federale
sugli stupefacenti.
Il procedimento penale è attualmente in corso nei confronti di sei
persone di nazionalità italiana, la maggior parte delle quali
risiede in Svizzera. Gli imputati vivono nella Confederazione da
molti anni e, presumibilmente, all’esecuzione di attività illegali
hanno affiancato l’esercizio di attività legali, come investimenti,
concessione di prestiti o persino la gestione di un ristorante,
attività che costituiscono una sorta di investimento
dell’organizzazione criminale in grado di rafforzarne il vigore
criminale.
Autorità troppo passive
Secondo l’ex procuratore pubblico Paolo Bernasconi, citato dal
domenicale zurighese, per anni mafiosi e loro sodali hanno potuto
aprire società bucalettere in Ticino e in Mesolcina, utilizzate per
celare le loro attività criminali mentre polizia, procure, autorità
comunali e del registro di commercio stavano a guardare.
Insomma, secondo Bernasconi, fattosi un nome a suo tempo per la
lotta alla criminalità organizzata, si sta avverando quanto
profetizzato da Falcone. Prima arriva il denaro, ma poi anche gli
stessi mafiosi.
Abbiamo le mani legate
Quanto alla Mesolcina, stando al settimanale le organizzazioni
criminali utilizzano le molte società bucalettere spuntate come
funghi per lavare il denaro frutto di attività criminali. Solo
nella valle grigione di lingua italiana sono registrate circa 2000
società di questo tipo per una popolazione di 8300 abitanti.
La sindaca di San Vittore, Nicoletta Noi, è consapevole del
problema ma dice di avere le mani legate nei confronti di questo
modus operandi che contempla anche, oltre alla fondazione di
società fittizie, anche l’acquisto di terreni. Gli abitanti sono
contenti quando ciò accade, perché almeno qualcuno vuole costruire.
Poca consapevolezza
Per la ricercatrice Madeleine Rossi, autrice di un rapporto sulle
mafie in Svizzera, le autorità elvetiche fanno troppo poco per
informare la popolazione su questo pericolo. Manca quindi il
controllo sociale necessario e le famiglie mafiose possono agire
indisturbate, facendo del paese ospite un punto d’appoggio per le
loro attività criminose. Le autorità inquirenti hanno poi poca
esperienza nel contrasto a questo fenomeno, aggiunge al giornale,
tanto che negli ultimi dieci anni sono stati arrestati poche decine
di mafiosi.
Secondo il rapporto della Rossi risalente al luglio 2019, la mafia
italiana, e il particolare la ’Ndrangheta, ha ormai fatto radici in
Svizzera. Anche se non la si vede, la ’Ndrangheta è ben presente in
Svizzera, aveva spiegato la ricercatrice e giornalista indipendente
al giornale romando "Le Temps". Gli arresti di diversi membri della
cellula di Frauenfeld (TG) in questi ultimi anni, ne sono la prova.
E si tratta solo di una cellula tra altre in Svizzera, in
particolare in Ticino, aveva rincarato.
A suo parere, la presenza della mafia è dovuta a due ragioni
principali: per essere dimenticati e riciclare denaro. Alcune
persone in fuga riescono persino a ottenere un permesso B, come fu
il caso di due mafiosi arrestati in Alto Vallese nel 2016. Queste
persone restano molto discrete e vivono come tutti, aveva affermato
Madeleine Rossi.
Per quanto riguarda le attività della ’Ndrangheta, il riciclaggio è
sempre più difficile, ma sempre possibile in Svizzera. Le grandi
banche sono sempre più puntigliose a questo riguardo, ma altre sono
meno attente. Inoltre anche il settore della ristorazione e quello
alberghiero permettono il riciclaggio, aveva sostenuto.
"In Ticino diversi bar sono vuoti tutto il giorno, ma realizzano un
giro d’affari importante": anche se non è una prova, è un indizio
importante, secondo la giornalista.
A suo parere, i politici in Svizzera conoscono bene il tema, ma
qualche freno importante sembra impedire loro di passare
all’azione. La posta in gioco a livello finanziario è infatti molto
elevata e alcune professioni ampiamente rappresentate al Parlamento
federale ne approfittano, secondo la specialista.
L’espansione della ’Ndrangheta va aumentando e questo sarà anche il
caso in Svizzera, aveva aggiunto la Rossi, secondo cui tuttavia non
bisognava cadere nella paranoia né stigmatizzare l’intera comunità
calabrese o italiana.