venerdì 11 dicembre 2020.
Come ridurre la mortalità nei pazienti COVID-19: studio nella Svizzera italiana suscita l’interesse internazionale.
I farmaci antipertensivi inibitori del sistema renina-angiotensina riducono la mortalità dei pazienti COVID-19.
Pubblicato dalla prestigiosa rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) uno
studio multidisciplinare su 576 pazienti ricoverati all’Ente Ospedaliero Cantonale durante la prima
ondata dell’epidemia che mostra, in collaborazione con l’Università Vita-Salute San Raffaele e
l’Università della Svizzera italiana, come questi antipertensivi di uso comune abbiano aumentato la
sopravvivenza dei pazienti COVID-19 ad elevato rischio di decesso.
Viene pubblicato oggi da PNAS – Proceedings of the National
Academy of Sciences, una delle più prestigiose riviste scientifiche mondiali, uno studio effettuato sui dati di
576 pazienti ricoverati all’Ente Ospedaliero Cantonale (EOC) tra il 1° marzo e il 1° maggio 2020, con un’età
media di 72 anni. Il lavoro, che ha riunito un gruppo multidisciplinare di clinici e ricercatori statistici dell’EOC,
dell’Università della Svizzera italiana e dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, ha dimostrato,
tramite analisi statistiche avanzate di integrazione dei dati demografici e clinici dei pazienti, che le comuni
terapie anti-ipertensive con inibitori del sistema renina angiotensina – i cosiddetti farmaci “RAASi” – riducono
di oltre il 60% il rischio di mortalità nei malati COVID-19 considerati a maggior rischio di decesso perché in
età avanzata e/o con patologie renali e cardiovascolari.
Per la prima volta grazie ad un approccio statistico sofisticato, i ricercatori hanno derivato diversi profili di
rischio per valutare l’effetto dei farmaci, analizzare le dipendenze tra i diversi fattori di rischio e l’impatto dei
trattamenti sulla sopravvivenza. L’effetto dei RAASi osservato è verosimilmente da attribuire all’interazione
tra il coronavirus e lo stesso sistema renina-angiotensina. È noto infatti che il SARS-CoV-2 entra nelle cellule
ospiti dopo essersi legato proprio all’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE2) del quale “blocca” la
funzione, causando un eccesso di angiotensina e un aumento dell’infiammazione nell’organismo,
infiammazione che viene ridotta dai farmaci RAASi.
Il responsabile medico dell’EOC e prof. della Facoltà di scienze biomediche dell’USI, Paolo Ferrari,
commenta: “Questo studio ci insegna tre importanti lezioni. Primo, che un farmaco noto e sicuro, usato
comunemente e prescritto di routine dai medici di base per la cura dei pazienti ipertesi, risulta ridurre la
mortalità tra le persone colpite dal COVID-19, quando sono in trattamento con questi farmaci. Secondo, che
solo con metodi biostatistici sofisticati si possono “smascherare” informazioni che con un approccio
convenzionale passerebbero inosservate. Terzo, che anche nel contesto del nostro Cantone Ticino un
grande lavoro di squadra può portare a scoperte importanti.”
“È apparso da subito evidente che l’età e le comorbidità dei pazienti giocassero un ruolo importante
sull’andamento della malattia COVID-19” afferma Pietro Cippà, direttore del Dipartimento di medicina EOC
che ha concepito lo studio, “ma l’inevitabile sovrapposizione di elementi anagrafici, clinici e farmacologici
rendeva estremamente difficoltosa la possibilità di apprezzarne l’impatto in un contesto complesso e nuovo
come quello che abbiamo dovuto affrontare negli scorsi mesi”. “Grazie ad una raccolta dati precisa e
all’applicazione di metodi statistici avanzati è stato possibile sviluppare un profilo di rischio multifattoriale e
valutare l’impatto delle terapie farmacologiche assunte dai pazienti prima e durante il ricovero”.
Clelia Di Serio, prof. ordinaria di Statistica Medica presso UniSR e prof. aggregata presso l’Università
Svizzera italiana afferma: “La difficoltà principale nell’analizzare i dati di questa pandemia risiede nella natura
della raccolta su base emergenziale, per cui si rendono necessarie tecniche statistico-computazionali in
grado di bilanciare gruppi di rischio numericamente sbilanciati e di considerare gli effetti di confondimento.
Con le ricercatrici Federica Cugnata e Chiara Brombin, abbiamo applicato una combinazione di tecniche non
parametriche e tipo machine learning che permettessero di derivare la complessa struttura di dipendenza tra
trattamenti, comorbidità, fattori di rischio e risposta clinica. L’interazione tra tutti i ricercatori coinvolti ha
permesso un’approfondita lettura dei modelli, basata su principi di riproducibilità, e ha confermato dei risultati
generalizzabili: riteniamo il risultato sulla protezione dei RAASi molto solido.”
Alessandro Ceschi, Primario dell’Istituto di Scienze Farmacologiche della Svizzera Italiana e Direttore della
Clinical Trial Unit EOC e prof. della Facoltà di scienze biomediche dell’USI aggiunge: “Con un approccio
innovativo e rigoroso, questo studio ha analizzato l’effetto di diverse classi di farmaci sul decorso della
malattia COVID-19 in pazienti ospedalizzati, ottenendo risultati importanti in tempi rapidi e, per quanto
concerne l’effetto protettivo osservato per i RAASi, contribuendo a fare chiarezza su un tema dibattuto in
modo controverso a livello internazionale. Questi dati potranno contribuire al disegno di trials clinici
randomizzati-controllati che chiariranno definitivamente il ruolo di questi farmaci nel COVID-19, a beneficio
della cura dei pazienti”.
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