mercoledì 21 luglio 2021.
Ritorno a Giova
di Giorgio Tognola
“I più bei ricordi sono stati i primi anni da maestro, a Giova. Non avevo ancora compiuto i 20 anni. Fresco di studi alla magistrale di Coira, ero tornato lieto e giulivo alla mia casa paterna al Camosat, frazione di Roveredo. Ero felice di essere tornato da Coira con la patente di maestro di elementare, era la fine del mese di ottobre del 1945. “
Così raccontava Piero Stanga, giovane maestrin, alcuni anni prima della sua scomparsa, a chi lo intervistava. A Piero Stanga, nel 1950, era seguita la giovane maestra Zita Pacciarelli. L’accompagnavo quale quinto allievo, la scuola elementare di Giova potè così sopravvivere ancora per due anni. Con Diana, Antonietta, Fabio e Rinaldo frequentai la terza e la quarta elementare. Allora Giova la si raggiungeva col cavallo di San Francesco, fu un felice, spensierato momento della mia infanzia.
Poi la scuola chiuse i battenti. Il vecchio edificio rimase in silenzio, lo rividi quindici anni dopo, polveroso e malmesso. Con una quinta del ginnasio di Agno salii da Carasole, trascorsi un pomeriggio e una notte faticando non poco ad ammansire e a fare dormire ragazze e ragazzi, poi passando da San Carlo si fece ritorno nella “civiltà”. Ancora oggi, quando casualmente incontro gli ex-allievi, ormai quasi tutti col beneficio della pensione, mi ricordano quella memorabile uscita.
Non dimenticai Giova, quel sentiero affascinante tra Fontanol, Faeda e Giova lo percorsi ancora varie volte, e se madre natura me lo permetterà lo rivedrò e percorrendolo ricorderò Fabio e Rinaldo, che non ci sono più, ricorderò il papà di Vittorino che saliva da Buseno con la posta, il Pep Giulietti con il suo mulo che non temeva la concorrenza, la casa del Cech e della Pepa o quella dell’Erminia e dell’ Angel che ci accoglieva il tardo pomeriggio della domenica al nostro rientro da Grono con una bevanda calda, l’Angel che ci venne incontro verso Faeda con la lanterna, mentre la neve cadeva copiosa, liberando il sentiero dalla coltre che superava le ginocchia, le mie care compagne Diana e Antonietta Marcacci con la mamma Orsolina e Flori, il loro papà. Mai dimenticherò l’ascolto dei programmi della Radioscuola resa possibile grazie all’apparecchio radio alimentato da una pesante batteria; poi arrivò anche l’elettricità; arrivarono gli sci bianchi, forniti dalla “Istruzione militare preparatoria” fissati anche agli zocron.
Sono risalito anche quest’anno, la scuola non l’ho nemmeno guardata, poverina, fa veramente pena.
So che nel nemmeno tanto lontano passato si pensò di salvare il vecchio edificio, ma poi non se ne fece nulla. Ora che è stata realizzata una comoda strada asfaltata, aperta tutto l’anno, l’opera non sarebbe poi tanto difficile. Certo, ci vogliono i soldi, i comuni non nuotano nell’abbondanza. C’è però l’Organizzazione regionale, c’è il Cantone, c’è la Confederazione, ci sono le fondazioni; forse i mezzi necessari, anche se non sono pochi, si potrebbero trovare. Ci vuole però anche la volontà politica, cancellare dalla memoria il passato non è una cosa saggia.
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