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martedì 24 agosto 2021.
LA RANA BOLLITA - Al peggio ci si abitua
di Teresio Bianchessi
Di sicuro conoscete la favola della “rana bollita”; in sintesi: ci sono due pentole sul fuoco, in una l’acqua bolle, nell’altra è fredda; un contadino in vena di esperimenti prende una rana e la getta nella prima pentola, al contatto la bestiola schizza subito fuori e corre verso il suo fresco ruscello.
L’uomo la riprende, la adagia nell’altra pentola, la bestiola si rannicchia e non si accorge né che il contadino ha acceso il fuoco, né che la temperatura cresce lentamente, così finisce bollita.
Mi sono sentito un po’ “rana bollita” ritornando alla mia casa nell’entroterra ligure, osservavo il folto delle colline attorno e capivo che qualcosa non andava ma non comprendevo fintanto che un tronco caduto sulla strada mi ha illuminato: la “foresta”, come nella tragedia scespiriana, avanzava.
Mi ci son voluti 18 anni per avere chiara percezione di quanto il territorio boschivo non avesse avuto più cure anche se, anno dopo anno, le escursioni alla ricerca di funghi diventavano sempre più faticose per alberi caduti, rami spezzati, arbusti, rovi.
Mi sono così reso conto che anche il paese è oramai accerchiato e, fatta eccezione per il “carruggio” centrale, tutte le altre abitazioni hanno la boscaglia a pochi metri dalle mura di casa e le strade provinciali non hanno più bordi, invasi come sono da erbacce.
Come meravigliarsi, quindi, se capita che una serpe entri in cucina, il capriolo bruchi la verdura dell’orto, che i cinghiali rivoltino le zolle del giardino, che i cani latrino tutta notte per la presenza incombente dei daini, che le volpi sbranino il pollaio, che nel torrente, invaso da detriti, le trote, mai successo prima, muoiano per il surriscaldamento dell’ultima pozza d’acqua dove si erano disperatamente rifugiate.
Una volta tra le case e il bosco c’erano prati coltivati che delimitavano i due mondi, si raccoglieva fieno, grano, patate, foglia per il letto delle vacche, nel bosco si faceva legna, si prendevano castagne, mirtilli; ora la generazione che tanto ha faticato nei prati e sui monti non c’è più e i figli hanno trasformato le stalle in tavernette, i fienili in verande, e non si può dar loro colpa, l’economia è cambiata, globalizzata.
È così non solo nell’entroterra ligure; le drammatiche notizie degli incendi estivi che lambiscono le case e obbligano evacuazioni di paesi lo testimoniano e grande pena ho provato, vera sofferenza parentale, per quegli sconosciuti che han perso la vita per salvare dal fuoco le loro pecore, i loro animali, i loro secolari olivi.
Ultimi autentici, eroici amanti della nostra madre terra.
Che fare? Non è più un problema privato, è pubblico, della politica che a parole dichiara forte impegno a salvaguardia del pianeta e poi scorda, trascura il ciglio della strada, il torrente, il bosco, la collina che non perdonano e protestano con frane e inondazioni alla fine più costose di una saggia e continuativa manutenzione del territorio.
Non abituiamoci al peggio!
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Le radici della violenza: la ricchezza senza lavoro, il piacere senza coscienza, la conoscenza senza carattere, il commercio senza etica, la scienza senza umanità, il culto senza sacrificio, la politica senza principi.
(Mahatma Gandhi)
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