Storico cambiamento di paradigma
Rispolverato probabilmente sulla scia dei festeggiamenti in occasione dell’ottocentesimo dalla fondazione del Capitolo di San Giovanni e San Vittore del 2019 – importante istituzione ecclesiastica che, per secoli, diresse e influenzò in modo eminente la vita pubblica, non solo religiosa e liturgica, del Moesano – l’intento prende ora, quasi inaspettatamente, nuovo vigore.
Aspirare a ridefinire le strutture pastorali di Mesolcina e Calanca non è certo un’idea nuova. In questo nostro tempo, contrassegnato da grandi mutamenti, ci sembra tuttavia pienamente condivisibile. In particolare, il suggerimento ha il merito di mettere sul tavolo una pista concreta – seppur tuttora abbozzata – ispirata sì al passato, ma chiaramente orientata al futuro.
L’obbiettivo di un tale processo di riorganizzazione appare chiaro: passare da una gestione strettamente locale delle parrocchie cattoliche – oggigiorno spesso (troppo) piccole e vieppiù fragilizzate – a una struttura comunitaria sinergica, più ampia, che possa offrire ai circa 7000 fedeli moesani una vita ecclesiale e delle esperienze di fede più ricche e ispiranti. Il tutto, unendo le forze sul terreno per riuscire ad affrontare in modo proattivo, con lungimiranza e coraggio, le sfide pastorali poste dall’epoca contemporanea, offrendo così un avvenire alla vita cristiana nel Moesano.
Fronte comune
Che vada o meno in porto, la proposta sul tavolo la si può (e si deve) annoverare tra quelle riforme strutturali divenute da tempo sempre più indispensabili nel Moesano, miranti a dare una svolta convinta a un’attività pastorale che, per varie ragioni, si trova vieppiù in difficoltà. Ciò, in particolare a causa delle rapide trasformazioni socioculturali in atto e della relativa progressiva disaffezione dalla vita parrocchiale – che la pandemia di Covid-19 non ha fatto che consolidare. Si tratta di profondi mutamenti che si manifestano più chiaramente nella diminuzione della partecipazione regolare dei fedeli alle celebrazioni liturgiche e che non potevano non avere importanti ripercussioni altresì sull’organizzazione concreta dell’attività pastorale. Una situazione, infatti, che si rispecchia (inevitabilmente) sulle finanze, vieppiù precarie, delle parrocchie.
La proposta d’aggregazione al vaglio non è un caso isolato. Essa s’inserisce all’interno di un’analoga trasformazione in atto in varie regioni della Svizzera dove, negli scorsi anni, si è proprio voluto unire le forze pastorali costituendo, ad esempio, dei grandi “settori/spazi pastorali”, modelli fruttosi di sinergie ecclesiali.
Ispirante passato
Ridare nuovo slancio ai vari settori della pastorale locale e regionale, dunque, ma non solo. Unire anche le forze finanziarie per essere più efficaci, propositivi e non limitarsi a una pura gestione degli “affari correnti”, divenendo co-protagonisti attivi per trasformare dall’interno l’annuncio del Vangelo: ecco i grandi obbiettivi sui cui poggia (o si auspica possa poggiare) tale rinnovamento. Il tutto, contraddistinto da una doppia struttura: parlamento regionale – con relativo “potere esecutivo” – e “neo Capitolo”, organo ecclesiale che riunisca tutti i sacerdoti, rispettivamente gli agenti pastorali, attivi nel Moesano.
Immaginare, oggi, di ripristinare un Capitolo regionale, seppur in forma rinnovata e confacente alle condizioni della nostra epoca, può forse apparire come una soluzione anacronistica, persino un po’ improbabile o azzardata. La proposta dei due rappresentati di San Vittore dimostra, tuttavia, come l’unità dell’azione – e non solo in ambito pastorale – incarnata per secoli dal Capitolo di San Giovanni e San Vittore continui a essere d’ispirazione anche per il XXI secolo e sia così di supporto per costruire l’avvenire.
Considerando i presupposti storici, pastorali, demografici e geografici che del Moesano, il rinnovamento dell’organizzazione pastorale auspicato sembra davvero essere l’unica via praticabile verso un reale aggiornamento del vivere cristiano a sud del San Bernardino.
Nuova pagina di storia
Dal Medioevo ad oggi, le forme organizzative ecclesiali che si sono succedute hanno costantemente avuto l’obbiettivo fondamentale di rispondere il più efficacemente possibile alle sfide socioreligiose alle quali le rispettive epoche erano confrontate. A volte, l’istituzione di strutture pastorali non avvenne senza difficoltà – si pensi, ad esempio, alla storica lotta tra “fratristi” e “pretisti” d’inizio Settecento. Va infatti ricordato come dopo ben quattro secoli d’attività del Capitolo sull’insieme del territorio, la progressiva creazione delle parrocchie instaurò una situazione del tutto nuova nel Moesano, caratterizzata da un’indipendenza vieppiù marcata dei nuovi enti parrocchiali. Ciò ha comportato un’autogestione pastorale e finanziaria a livello prettamente locale.
Nolenti o volenti, la proposta fatta alcune settimane orsono a Grono rappresenta un colpo d’accelerazione al lento, ma inesorabile declino di una gestione autonoma della cura animarum, avviata nel Seicento e ratificata dalla soppressione definitiva del Capitolo a fine Ottocento.
Un quadro giuridico-strutturale che ora si vorrebbe rimodellare, ritornando in un certo qual modo al passato, per quanto possibile. I proponenti si prefiggono così d’inaugurare una nuova pagina nella storia ecclesiale regionale, più corrispondente e fedele alla realtà ecclesiale del nostro secolo.
Il futuro prossimo ci dirà se i delegati parrocchiali moesani considereranno i tempi effettivamente maturi per compiere un tale passo aggregativo a livello moesano. O se, invece, preferiranno optare per la politica dei “piccoli passi”, con la creazione dapprima di tre “unità pastorali” più ridotte: Calanca, Bassa Mesolcina e Alta Mesolcina, ad esempio.
Un “Capitolo 2.0”?
Sebbene il progetto, territorialmente parlando, presenti un’evidente consonanza con l’antico Capitolo, il paragone con questa forma d’organizzazione ecclesiale rimane delicato da fare. E ciò, per almeno due motivi. Da un lato, l’intera gestione della via religiosa, ossia pastorale, organizzativa e finanziaria, era in mano al Capitolo – e in particolar modo al prevosto. Ciò, in virtù di una struttura canonica, assai diffusa all’epoca, che attribuiva precisi diritti e doveri ai suoi sei membri. D’altro canto, nei secoli scorsi la comprensione e l’approccio all’attività pastorale erano ben diversi da quelle odierne, con un importante accento posto, ad esempio, sul “servizio liturgico” (bi)settimanale nei diversi villaggi della regione, nonché sull’obbligo di presenza, per i canonici residenziali, alla Liturgia della Ore celebrata nella Collegiata di San Vittore. L’updating esposto presuppone pertanto una non così semplice articolazione tra la tradizione passata e i presupposti attuali. Un esercizio tuttavia non irrealizzabile.
Aggiornamento
In tal senso, il necessario adattamento della struttura del Capitolo regionale al contesto contemporaneo non potrà esimersi dal prendere attentamente in considerazione le differenze tra le due epoche. Nel “sistema duale Stato-Chiesa” oggi vigente nella diocesi di Coira (come in gran parte del resto della Svizzera), ad esempio, mantenere una chiara distinzione tra i compiti amministrativi, finanziari e gestionali dei comuni parrocchiali e quelli pastorali, catechetici e liturgici affidati agli agenti pastorali è imprescindibile. Ciò, al fine di rispettare i rispettivi ambiti di responsabilità ed evitare così l’insorgere di eventuali conflitti.
Ciò, in vista di una fruttuosa collaborazione tra le istanze che dovrebbero comporre il nuovo comune parrocchiale, evitando in tal modo interferenze o dissensi nella sua attuazione quotidiana. Da questo punto di vista, il “profilo ibrido” del futuro comune parrocchiale proposto, nel quale i parroci sarebbero “membri di diritto” del “parlamento regionale” – come pure rappresentati nell’esecutivo – sembra un po’ stridere con tale ripartizione dei compiti su cui si fonda l’attuale comprensione della Chiesa cattolica elvetica. Una delle sfide principali che la proposta presentata dovrà affrontare risiede pertanto nel trovare un sano equilibrio tra tutti gli attori coinvolti, nonché una chiara ripartizioni di ruoli e competenze.
Corsi e ricorsi della storia
Come rilevò Rinaldo Boldini nella sua celebre Storia del Capitolo di San Giovanni e San Vittore in Mesolcina pubblicata ad inizio degli anni 1940, «in forza di tale fondazione, l’organizzazione religiosa di Mesolcina e Calanca assumeva un aspetto del tutto nuovo» rispetto alla situazione vigente durante l’Alto Medioevo. A 800 anni di distanza, la storia sembra ripetersi.
Nel corso della prossima primavera sarà presentato il risultato della riflessione in corso da parte dell’Ufficio dell’assemblea dei presidenti e dai delegati di San Vittore. Nel frattempo, non possiamo che rallegrarci del fatto che i responsabili ecclesiali moesani si chinino sulla questione fondamentale di una migliore coesione e unione d’intenti; un’ottica comune che favorisca una migliore programmazione ed esperienze spirituali comunitarie profonde e arricchenti.
Perché in fondo, come fu il caso in passato, il nuovo Comune parrocchiale regionale è da considerarsi (semplicemente) come un mezzo e non il fine. Quale nuovo “centro nevralgico” per la coordinazione e la promozione dell’attività pastorale, il suo fine dovrà infatti rimanere lo stesso che contraddistinse otto secoli orsono la fondazione, da parte del barone Enrico De Sacco presso la torre Fiorenzana di Grono, del Capitolo: dotare la pastorale di Mesolcina e Calanca di una struttura al passo con i tempi, al fine di «far crescere ogni giorno di più la vita cristiana tra i fedeli» (Concilio Vaticano II).
Nel vivo auspicio che in questo tempo, nel quale la Chiesa diocesana e universale si è avviata su di un esigente, quanto essenziale “Cammino sinodale”, tale riforma possa rappresentare al contempo un’occasione propizia per una più ampia partecipazione dei battezzati e delle battezzate alla vita ecclesiale moesana.