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Lettere dei lettori
mercoledì 19 gennaio 2022.
A mio padre con gratitudine - La nostra vita
di Nicoletta Noi-Togni

Qualcuno si chiede cos’è la nostra vita? Da dove veniamo e dove andiamo? Il perché del nostro destino, del nostro fare e pensare? Non so immaginarmi lo facciano coloro che si dedicano al meschino, alla cattiveria spicciola e primitiva di ogni giorno. Ma altri certo se lo chiedono guardando l’orologio del tempo che ci dice che tutti, prima o poi, giungeremo ad una fine.

Con virus o senza virus, con cose buone e belle o malvagie. Mi piace pensare che la prima categoria, quella che nel suo vissuto ha cose buone e belle, sia molto piu’ numerosa della seconda. Ma cosa sono le cose belle e buone? Credo siano tutte quelle che abbiamo fatto con l’intenzione di servire a qualcuno o a qualcosa e per noi stessi di metterci alla prova, d’imparare, di capire, di dare. Cose che richiedono fatica, lotta per l’esistenza nostra e degli altri, umiltà, buona fede. Questo credo sia il valore, forsanche il significato del nostro esserci sulla terra.
La nostra vita è fatta di rappresentazioni. Ognuno credo sia, coscientemente o incoscientemente, accompagnato nella vita dalle immagini del suo vissuto. Nelle quali il nostro pensiero molte volte si rifugia per attingere forza e speranza oppure semplicemente bellezza. Ma anche riconoscenza, insegnamento, una diversa comprensione di fatti e di cose, una tristezza lontana che non sa piu’ far male.
Nell’anniversario della morte di mio padre, che cade questi giorni, l’immagine è sempre la stessa. E’ sera, l’ombra inizia ad allungarsi sulla casa mentre il sole ha lasciato un frammento rosso tenue all’orizzonte. Siedo con mio padre al caminetto nel nostro ristorante, siamo soli e guardo distrattamente mio padre che infila accuratamente un pezzo di formaggio sull’apposita forchetta nera. Poi lo tende e lo rigira, sempre con cura sopra i ciocchi che ardono nel camino. Il formaggio si scoglie e le gocce, cadendo sulla brace scoppiettano allegramente, arabescano con i loro colori le pareti nere e riverberano i loro bagliori su di noi. Mio padre intanto, pur sempre attentissimo a forchetta e formaggio in quello che oggi definirei un rituale, incomincia a raccontare.
Dalla brace rossa davanti ai miei occhi di bambina, sorgono le colonne bianche del Tempio di Delfi mentre vedo camminare avanti e indietro, sulla arida terra greca, Aristotele con i suoi discepoli nel Peripatos. Mio padre non sapeva e neppure io sapevo che il suo racconto, in una sera di gennaio con la torre di Pala alle spalle e quel caminetto dal quale aveva fatto sorgere nomi e figure, mi avrebbe accompagnato per tutta la vita. Non solo: mio padre mi aveva consegnato un patrimonio dei piu’ preziosi. Quello che apre le porte del pensiero e dell’anima.
Auguro a tutti di trovare la narrazione piu’ bella anche in quest’anno nel quale la forza del ricordo e del pensiero sarà importante.

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Chiusa in casa

Chiusa in casa
mia madre
tagliava e cuciva camicie:
le cose imparate nel giovane sogno
divennero pane, formaggio ed alici.
Mio padre era morto da un anno.
Noi tre portavamo più avanti
una guerra finita.


Vito Maida (poeta soveratese, 1946/2004) 
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