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Cultura
mercoledì 9 febbraio 2022.
FESTIVAL DI SAN REMO - Pensieri in libertà
di Teresio Bianchessi

Settantadue anni ha compiuto il festival di San Remo, solo tre meno dei miei; per me quindi c’è da sempre, lo conosco e mi ricordo gli alti e bassi della sua vita: bassi negli anni della contestazione dove se dicevi di averlo visto venivi giudicato fuori dal tempo, esaltante quest’anno con indici medi d’ascolto vicini al 60% , capace anche di riportare davanti alla tv i digitali nati che da tempo la snobbavano; gongola la rete nazionale.



La vittoria a Mahmood e Blanco - “Brividi”, seguiti da Elisa - “O forse sei tu” e da un intramontabile Gianni Morandi - “Apri tutte le porte” - classifica finale che di fatto premia ben tre generazioni che vi si riconoscono, confermando che il festival è la vetrina della canzone italiana nel mondo.
Premio della Critica “Mia Martini” ad un altro mostro dello spettacolo: Massimo Ranieri per il testo della canzone “Lettera al di là del mare” che racconta di migrazioni, di viaggi forse più disperati ora di quando noi si migrava per l’America; più terribile degli oceani l’angusto mare Mediterraneo: … “Amore vedi così buio è questo mare è ferita che non scompare”.
Venticinque canzoni bellissime che han trovato concordi pubblico e critica.
Il festival però non è solo canzoni e mi ha fatto riflettere, non tanto per i testi e le performance dei giovani artisti (come non ricordare il disappunto della generazione che mi ha preceduto legata a Gino Latilla, Luciano Tajoli, Claudio Villa, all’arrivo di Celentano, Mina, Tony Dallara, gli urlatori) ma per i contenuti proposti dalle co-conduttrici che hanno evidenziato quanto sia cambiata la società.
A onor del vero il cantante Achille Lauro un po’ mi ha infastidito non per il suo look o il testo della canzone “Domenica”, peraltro intrigante, quanto per essersi, a fine esibizione, auto battezzatosi versando da una conchiglia, simbolo della cristianità, acqua sul capo.
Ce n’era proprio bisogno? E come non essere d’accordo con il Vescovo di San Remo che ha stigmatizzato il gesto.
Ma torniamo alle co-conduttrici; la prima serata ha visto la tranquilla, ancor bella Ornella Muti che tutti ricordiamo negli esilaranti film d’amore che riempivano le sale con Adriano Celentano negli anni ’70; la seconda serata sul palco Lorena Cesarini nata a Dakar, cresciuta a Roma, attrice conosciuta al pubblico delle fiction che si è presentata così: “Sono la prima nera a condurre su questo palco. Sono una romana de Roma”.
Doveva essere felice, ma ha pianto durante il suo monologo perché, proprio quando credeva di essere…romana, ecco sui social post infamanti che legge: "Non se lo merita, l’hanno chiamata lì perché è nera!... Ecco è arrivata l’extra comunitaria… L’avranno chiamata per lavare le scale".
Guardando la ragazza, visibilmente commossa, mi sono convinto che quello non era solo razzismo, ma invidia becera, infatti, le offese sono apparse solo dopo che aveva ottenuto la vetrina prestigiosa dell’Ariston, a riprova che è nella gioia, nel momento del successo, della fortuna che riconosci e conti i veri amici, non nel bisogno.
Il terzo ospite del festival Drusilla Foer “virtuale nobildonna fiorentina snob”, personaggio creato dall’attore Gianluca Gori a ricordare la Mabilia dei Legnanesi, ma qui la situazione è equivoca anche se l’intelligenza dell’artista ha saputo rendere leggero il tema della diversità traducendola con un vocabolo assolutamente apprezzabile: “unicità” che rende giustizia e dà luce alle differenze.
Venerdì sera, ma che maratona il festival, Maria Chiara Giannetta recente e apprezzata protagonista della fiction “Blanca” dove l’attrice interpreta una giovane cieca, consulente della polizia; all’Ariston Giannetta ha voluto sul palco i suoi “guardiani” coloro che guardano, ma gli ospiti sono per davvero non vedenti, l’hanno aiutata ad interpretare il suo ruolo e pensando a loro così si è espressa: ”…ho scoperto che quello che non conosco è una ricchezza infinita, ho imparato ad ascoltare oltre a ciò che vedo…” portando così i telespettatori a riflettere su chi è davvero cieco e quale cecità si debba davvero temere.
Serata finale, interminabile, meno male che c’è Sabrina Ferilli, bellezza nazionale, capace di stemperare la tensione con un monologo non monologo, limitandosi ad essere l’ospite e per sottolineare che di questi tempi abbiamo bisogno di leggerezza cita Calvino: “…In tempi così pesanti bisogna saper planare sulle cose con un cuore senza macigni…” perché prosegue: “La leggerezza non è superficialità”.
A mio parere è stata la presenza più coraggiosa delle cinque serate, ha riportato tutti con i piedi per terra, alla normalità e chissà che mamma Rai, in futuro, pur continuando meritevolmente a dare spazio alle “unicità”, non trovi il coraggio di rappresentare sul palco dell’Ariston la grande, eterna, faticosa normalità delle famiglie.
Viva il festival di Sanremo!

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Chiusa in casa

Chiusa in casa
mia madre
tagliava e cuciva camicie:
le cose imparate nel giovane sogno
divennero pane, formaggio ed alici.
Mio padre era morto da un anno.
Noi tre portavamo più avanti
una guerra finita.


Vito Maida (poeta soveratese, 1946/2004) 
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