|
 |
lunedì 2 ottobre 2023.
CHI CUCINA PIÙ?
di Teresio Bianchessi
Matematico: al rientro dalle vacanze c’è sempre un elettrodomestico rotto, quest’anno la lavapiatti, pazienza … libretto della Bosch mi danno il numero per trovare l’assistenza più vicina, lo compongo … buongiorno signore le rispondo dalla Spagna… dalla Spagna!?… ieri chiamavo il signor Augusto che aveva bottega nel quartiere e arrivava il giorno stesso; nello specifico, l’attesa ahimè è stata di una settimana.
Questo preambolo per dire come continui a cambiarci la vita sotto il naso, anche negli aspetti più quotidiani e ciò che sta succedendo è davvero epocale, crollano miti, certezze che erano inossidabili come quello del… “tutti a tavola a mezzogiorno”.
Il “preparare da mangiare” era compito impegnativo, vitale e quotidiano e appena ieri il fabbisogno alimentare arrivava dalla stalla col latte, dal maiale e dal pollaio per la carne e dall’orto per le verdure, sostituiti oramai e da lungo tempo dagli scaffali del supermercato.
Il passo successivo è arrivato poco tempo dopo: “non cucinare più ci penso io” ed ecco golosissima gastronomia dentro piatti usa e getta … ”fatto da noi per voi, come a casa”; la proposta però ha un limite perché devi andare lì, arrivare al banco e in tempi frenetici tu quel tempo non ce l’hai, il mercato coglie la criticità e ti dice: ”nessun problema arriviamo noi da te”.
Arrivano così schiere di "rider" delle società di food delivery, pagati a consegna o ad ora, targati Just Eat, Deliveroo, Glovo, invadono le strade della città per la consegna del pasto a domicilio: pizza o sushi o hot dog; ma del rider si servono oramai anche i ristoranti e devo dire che provo cruccio nel vedere questi precari lavoratori muoversi a tutte le ore nel traffico cittadino non certo raccomandabile per le bici e mi prende anche sofferenza nel pensare alle porte che si aprono per ricevere, spacchettare, portare in tavola la cena che di sicuro non ha la gioia antica del …a tavola, scolo la pasta.
Comprensibile e condivisibile la scelta di delegare ad altri il “preparare da mangiare” perché la realtà di oggi presenta famiglie dove padre e madre sono fuori tutto il giorno per lavoro, arrivano a casa trafelati, magari più tardi del previsto e il tempo per mettersi ai fornelli proprio non c’è; la nostalgia però dello “spadellare” di un tempo rimane perché ricorda una vita lenta, più ordinata e al mercato non sfugge nemmeno questa istanza ed ecco: “L’home restaurant”.
“L’home restaurant” è l’ultima tendenza in fatto di ristorazione alla quale la legge dà limite di 500 coperti l’anno e fatturati di 5 mila euro; alternativo al ristorante classico nasce dalla voglia di uomini, donne, cuochi per diletto, di mettersi alla prova avviando un’attività dove non ci sono investimenti perché la location è la propria abitazione, la tavola è imbandita con i servizi e le tovaglie della nonna e sui fornelli di casa si cucinano le proprie specialità che di solito sono piatti tipici regionali preferibilmente con prodotti a chilometro zero.
L’ho sperimentato con amici nel periodo delle vacanze al “Mare” nel verde e nella pace di Mereta, piccola frazione dell’entroterra ligure, dove la signora Eleonora ha iniziato la sua avventura e ci ha accolti davvero quasi come fossimo parenti.
Conquistato intanto per la location davvero bucolica resa magica dalle abilità coreografiche della titolare che ha creato suggestivi angoli di ceppi di legna, di candidi teli a garantire riservatezza, candele, tralci di vite su preziose tovaglie, lanterne, brocche di un tempo, paesaggi in cornici datate, e non da meno mi han deliziato i piatti serviti con cura: assaggi di salumi e formaggi locali accompagnati da marmellata di rose, vitello tonnato, frittate, poi ravioli di carne al “u tuccu zeneize” ragù genovese fatto con un unico pezzo di carne, un tocco appunto, cotto a lungo tempo in poca salsa di pomodoro, poi coniglio alla ligure con olive e pinoli, vini delle langhe, “bunet” per dessert, un budino tipico piemontese e gran finale con pesche alla medievale cotte nel vino e spezie.
Verrebbe da dire come in un buon ristorante se non fosse che all’ ”home” abbiamo cenato sotto il portico, al lume di candela ma soprattutto, e questa è la differenza, come fossimo davvero a casa dalla zia che bisogna allertare qualche giorno prima del nostro arrivo per darle tempo di decidere cosa preparare, zia che non ci fa fretta, che chiacchiera con noi del più e del meno, che ti concede pause, che ti chiede se ne vuoi ancora, ti serve il caffè, l’amaro continuando a stare lì con te.
Il piacevole ricordo mi ha un po’ allontanato dal tema generale, di sicuro riproverò l’esperienza anche in città e dovessi ritrovare la stessa atmosfera, seppur in contesto diverso, avrei conferma che questa ultima nuova formula di ristorazione ha il merito di farci rivivere quell’atmosfera di “tavola” serena, conviviale, famigliare, rilassata, affettuosa, capace di preservare abitudini e legami solidi attorno ai quali si cementava la famiglia.
|
 |
|
“Il soldato prega più di tutti gli altri per la pace, perché è lui che deve patire e portare le ferite e le cicatrici più profonde della guerra.”
Douglas Macarthur
|
|